Per racchiudere la potenza architettonica di una cupola sacra nello spazio di 24 per 24 centimetri ci vuole un intento orgoglioso, introspettivo, occorre essere architetto dell’io interiore. Come un uomo semplice e sensibile, complesso e attento ai fatti concreti.Gli uomini hanno costruito da epoca immemorabile cupole, simulacri del sacro, santuari di altezze spirituali immense, a base ottagonale, circolare, seguendo la scia del numero magico, il tre, il quattro, il cinque, al di sotto della perfezione del 9. L’8 cabalistico contiene i numeri indicati, numeri del divino e dell’umano. Essenziali alla definizione della scansione dei suoni come a quella dei colori, che hanno la stessa essenza vibratile. Occhio e orecchio percepiscono lo stesso mondo e ne fanno simbolo esoterico, utile alla vita quotidiana, allo scambio di segni di affetto.

Il cerchio rappresenta il divino naturale, la divisione in spicchi sono il simbolo dell’umanizzazione del divino, materializzato e ridotto alla nostra dimensione, alla dimensione piccola dei nostri occhi, dei nostri sensi. La Moschea di Omar è sormontata da una cupola d’oro, sfavilla nel cielo e compete col sole. La Cupola di San Pietro sfolgora di marmo bianco. Ricordano il Santo Sepolcro o la montagna sacra?Cerchio, quadrato, croce sono il centro dei simboli fondamentali che rivelano il cosmo e sono nello stesso tempo il mondo reale evidente all’esperienza. Sotto la cupola del cielo c’è un centro, focolare del movimento, l’1 che origina e dà moto al molteplice, che attira la convergenza del fuoco ottico, la forza dello sguardo, l’attrazione dei raggi della ruota, il simbolo mobile e variabile della fondazione, il supporto di ogni forza, che scappa dal centro o che attira verso di esso. Al centro si pone il totem, si svolgono qui le rivelazioni primordiali, la ripetizione dei riti d’iniziazione. E’ lo spazio sacro per eccellenza che precede e guida l’esperienza dell’uomo nel mondo, interiore ed esterno. Il centro conduce fuori del labirinto, è l’organizzazione del caos, dà il senso di marcia della conoscenza.

Uomini di ogni epoca hanno ricostruito la collina originaria, l’omphalos cosmico dei Greci, l’ombelico della conoscenza, fonte di dubbi e risposte certe, pietra religiosa. Perotti scava nel proprio io il ricordo del mito dell’umanizzazione del divino, ripete l’analisi della forma molte volte, ne varia la scansione di colori, ne fa una mistica astratta, scompone la luce e ne materializza la quantità del colore, replica il posizionamento dei mattoni nella edificazione/costruzione della cupola. Ce la ripresenta nell’iride e nella moltiplicazione delle combinazioni coloristiche. E’ pittore astratto e materiale, è pittore del simbolo sacro e della terra pagana, che presta la propria sostanza ai colori. Terra è lapislazzuli, terra è ocra, terra è oro, tratto, scavato con fatica dalle sue viscere per fondere in crogioli, terra è il bianco delle nuvole e il verde delle erbe, come il rosso del fuoco e l’azzurro del cielo.

Il suo racconto è personale e pubblico, il suo racconto è la guida verso il mistero del sacro esploso nella combinazione dei colori, il segno è morbido e ha il suo peso contenutistico. L’arco tende al cielo come la psiche tende all’infinito interiore, il pennello di Perotti è la penna di Kafka che scava l’inconscio, potente costruzione dell’invenzione scientifica e letteraria. Sotto la cupola stanno i fedeli in adorazione e imploranti, sopra di essa il cielo e il sole, dappertutto la divinità. Perotti si pone e ci pone sotto la cupola sacra per scoprire l’essenza della conoscenza (interiore?). Solo nella resa astratta del vero, che lascia intravvedere ancora e potentemente le forme essenziali, non c’è decadenza, ma potenza espressiva, non c’è ripiegamento su se stessi, ma estroversione verso gli altri, bisognosi di comprendere. Quella di Perottti è una chiamata al sacro tramite la tavolozza dell’immaginario dell’arco-baleno. L’arc en ciel che taglia come un baleno la cupola azzurra, che la spiattella davanti agli occhi di chi guarda.

C’è da chiedersi se Roberto Perotti abbia risolto tutte le domande che è in grado di porre a se stesso. La speranza è di avere una risposta negativa, perché la sua ricerca – se non si interrompe – può condurre al sublime.

Gianluigi Corinto

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