Dalle città eterne di Platone alle città invisibili di Calvino

Il “senso” della pittura di Roberto Perotti

Da una pittura astratta,composta da morbide geometrie e rigori simbolici dove si intravvedono gli echi della pittura di Rauschemberg e di Pollock, dal 1998 in avanti la pittura di Perotti subisce una catarsi, una forma di “metanoia”, di cambiamento quasi epocale,in sintonia con la fine del primo millennio e l’avvento della seconda era.Dopo più di vent’anni di schemi pittorici più legati all’ide-azione e alla simbolizzazione informale,sboccia ,come gemma improvvisa e imprevedibile, una pittura fatta di gesti cromatici semplici,formalmente ineccepibili, di grande “sapere” e “sapore” pittorico,  resa nuda da un’intuizione emotivamente forte come  accelerata dall’iperbole della propria contraddittorietà.Pittura fatta di cenni,ma anche di architetture complesse ed ampie, dove alla natura fa eco la cultura e dunque l’arte avvolte in un sentimento di straordinaria armonia quieta e appagante, lontana dagli echi del kitsch e delle petulanti trans-avanguardie tipiche del post-moderno.Pittura di archetipi, degni dell’inconscio collettivo, che riverbera il passato ma si allunga nel lavoro del futuro,fatto di armonie desideranti. Ritmi ora colmi ora spaesati, dove l’assenza (Il silenzio dei bianchi e delle tele rimaste nude) fa eco alla presenza delle multicromie, dei trapassi rapidi ove la vernice diventa strumento di sincronie, e di sincronicità.Una pittura colma di luce fatta colore: luce metafisica, desertificata non desertificante, che fa eco ai tormenti della contemporaneità e nello stesso tempo riassume la storia di mille e mille secoli di lotte di civiltà di religioni, di chiese, di assoluti naturali dove l’uomo cerca un riferimento eterno in bilico fra tradizione e futuro.Luce metafisica e talvolta colori surreali in una pittura resa essenziale dal gesto pittorico immediato, che si rifà al tachisme densa di senso poiché accoglie il senso della storia della nostra migliore cultura. Non solo questo “senso” la pittura di Perotti evoca come illuminata profezia.

È il senso dell’antico stupore delle domande inevase e universali
Delle domande religiose che l’uomo contemporaneo
Si fa senza saperlo
Che affiora nelle tavole di Perotti.

Dei golfi che accolgono come seni
Dei monti che limitano l’eterna sfida dell’uomo
Delle teorie fatte di uomini o case che orlano il mare
Delle città archetipiche
Universali e invisibili
Delle mille e una cupola
Che riportano al bisogno
Di una nuova pienezza formale.

Ma anche al bisogno di un “colmo”
Di una pienezza ora
Bruciante ora rassicurante
Che sia di risposta di appagamento
E sicurezza al generale sconforto.

Come evocati senza fatica, natural-mente, nascono iconelegate al senso di mille e mille anni
Di attitudini pittoriche e ideative legate al nostro “far pictura”degli albori  dell’anno mille.
Gli itinerari pittorici, i processi dell’immaginario.

La ruvidezza e la semplicità
Il senso del ritmo e la sobrietà dei nostri  maestri
Di bottega, vengono ripercorsi come d’incanto
Nella bellezza delle evocazioni legate alla natura, ai suoi eterni cicli, alla descrizione dei paesaggi.
Resi ancor più nitidi dalla fantasmatizzazione che ne fa l’autore.

Dalla nostalgia del non averli, dalla paura di perderli.
Dal bisogno di evocarli e dunque rappresentarli, nasce questo fiore di pittura che accomuna la bellezza nitida e come primitiva dei pittori del medioevo (nella descrizione naturalistica del paesaggio) al bisogno d’arredare architettonico la città, tipico del nostro periodo tardo-rinascimentale.
Così dopo il‘99 fioccano queste tele “impudiche” di Perotti.
Che trovano sposato il mille con altro mille
Dove è possibile ri-vedere in tonalità ora lievi ora Impregnate, medioevo e cinquecento
In tele che sembrano essere profetiche
Di futuro… Mille e non più mille?

Impudiche tele
Per i temi affrontatidove alle domande di
Ora e di
Sempre, risuona il bisogno di un’agorà
Di un cerchio che tutto comprenda e riassuma
Che sia di oriente o d’occidente.
Un cerchio, ove sia possibile
Circumscrivere l’uomo
Il suo dolore
Il suo canto
Il suo bisogno di opere
E di sacralità

ALESSANDRA LANCELLOTTI

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