Quello che apprezzo in Roberto Perotti è la capacità di essere se stesso senza ricorrere all’ espediente del simbolo unico, come in molti pittori di oggi (e non parliamo solo di pittura, nel suo caso, perché a tratti emerge un libro, una poesia, un saggio, un disegno, un quadro). Così da un inizio informale – i suoi “Segni” di ispirazione pollockiana – si passa ad un figurativo simbolico in cui però i simboli cambiano, anzi evolvono: le “vegetazioni” diventano “alberi”, le “staccionate” diventano  “città” (palizzate che diventano palazzate), le città si specchiano nell’acqua, ma dopo un decennio l’acqua si inclina creando una instabilità sconvolgente. Infine dietro le case compare la figura rassicurante di una cupola, e la cupola si libra nell’aria verso un cielo da lungo tempo cercato, e forse oggi più vicino… Un percorso di arte e di vita che assomiglia a un cerchio, o una spirale ascendente di cui siamo curiosi di conoscere la stazione successiva.

Fabio Capocaccia

 

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